Alitalia, piano da 2mila lavoratori in meno Polverini avverte: no ad altri sacrifici
Ma
quale 150° anniversario della "unità" d'Italia. In che cosa siamo
uniti, chi sono questi "fratelli" d'Italia? A livello regionale? Ma non
prendiamoci in giro. Ci sono regioni che sperperano e allegramente
amministrano. Perché poi devono continuare ad esistere le regioni a
statuto speciale?
Socialmente il divario tra classi più povere e quelle più ricche si allarga sempre di più, determinando un accumulo di capitale a livello nazionale concentrato verso l'alto, con benefici per pochi a scapito della stragrande maggioranza sempre più povera.
Culturalmente
è un disastro e non solo in riferimento alla scuola (che vediamo come
festeggia l'unità), quella che oggi, prendendo pappagallescamente in
prestito un termine che deriva dall'inglese, è definito "educazione"
(mentre una volta era l'istruzione, una delle tante spie di decadenza
della lingua italiana), lasciando il vero significato del termine
colpevolmente nell'oblio, tanto che ora nessuno parla più di educazione
nel senso di buone maniere e di rispetto per il prossimo che determina
uno degli indici del grado culturale di un popolo.
Siamo
fratelli nelle istituzioni? Anche qui la frattura è sempre più forte,
basti pensare, al di là delle spaccature ideologiche, alle persone che,
non credendo più alla politica, hanno rinunciato ad esprimere il proprio
voto (tanto a che serve?). I gruppi di potere sono rimasti, anzi sono
sempre più fiorenti. Le categorie privilegiate di cosiddetti
professionisti non sono state toccate.
Gli
avvocati non si lamentano certo di come va avanti la litigiosità tra
gli italiani medi (fratelli?), stabiliscono le parcelle e guai se
qualcuno di loro prende l'iniziativa di modificarle rendendole più
umane. Vogliamo parlare dei nostri "fratelli" notai? Questi si lamentano
solo se qualcuno ventila l'ipotesi di mettere il naso nei loro affari.
Nostri
fratelli sono i furbi che non pagano le tasse o che dichiarano al fisco
importi quasi al disotto della sopravvivenza così da beneficiare delle
esenzioni pensate per i meno abbienti? Questi festeggiano ogni giorno e
non aspettano certo il 150° per farlo. L'elenco di questi nostri
"fratelli" potrebbe continuare a lungo e non metterebbe in imbarazzo
certi predicatori di oggi che la vergogna ormai non sanno più dove sta
di casa. In nome della globalizzazione (leggi profitti personali di
pochi) si tende molto di più a separare che a unire.
Dislocare
ormai non è più un neologismo occasionale ma un termine diffuso molto
amato dai nostri cosiddetti imprenditori di nuova generazione (raramente
le terze generazioni riescono a continuare la tradizione di famiglia,
preferendo o essendo costrette a monetizzare ciò che i padri riuscirono a
realizzare).
Mi
chiedo come potrà festeggiare (e dove) l'unità d'Italia Marchionne e
tutto la proprietà della Fiat. Forse in uno dei tanti paradisi fiscali
sorti su iniziativa di questi nostri "fratelli". La Svizzera ormai, dove
i soldi si portavano per tradizione di queste famiglie, non sembra più
impenetrabile, ma gli gnomi zurighesi correranno sicuramente ai ripari.
Se
l'Italia fosse stata meno unita e più consapevole di un senso di Patria
maggiormente comprensibile, forse avremmo avuto anche meno guerre,
saremmo stati meglio amministrati e non si sarebbero verificate quelle
emigrazioni di massa indotte dalla fame e dalla miseria che certi
governi passati non hanno saputo impedire.
E' difficile trovare nella storia un periodo in cui siamo stati consapevolmente più divisi di quello che stiamo vivendo. Beato chi ha la fortuna di avere, nel generale calo demografico di questa nostra società, un fratello di sangue. Questi sono i fratelli d'Italia. Il resto è una presa per il sedere.